È stata una bellissima intervista quella con Andrea Inglese. Lui ha scritto un libro dal valore altissimo, non solo letterario. Per chi non l’ha ancora letto parlo de “La vita adulta” edito Ponte alle Grazie. Nell’intervista cito Osvaldo Guerrieri (Schiava di Picasso, Neri Pozza, 2016) c’è un breve riferimento a Virginie Despentes.
Queste sono le domande che mi ero preparata per l’intervista per chi voglia approfondire.
La denuncia di una società classista e sessista: Nina quante donne di oggi riesce ad essere?
(Grazie Andrea per questa occasione di riflessione, davvero).
1) Nina non è di una bellezza straordinaria, eppure risulta appetibile per il pubblico maschile. Risulta appetibile nella ragione in cui il suo corpo diventa un impegno professionale, in quanto artista performativa. Quando la performance diventa il luogo della condivisione, cosa viene ad essere più importante, il riuscire a potersi liberamente esprimere col corpo e fare col corpo arte o addomesticarsi, disciplinarsi, staccarsi dall’immaginario provocando necessariamente la riflessione sulla sessualizzazione del corpo?
2) Nina non sembra avere una psicologia complessa, si fa riferimento alla sua teoria del “genitore guastatore” perché pare che il padre Carlo, da lei chiamato Dolomite, sia stato per lei il genitore guastatore. Sebbene Nina risulti il più delle volte una ragazza stravagante, in una società dove le donne fanno difficoltà a farsi riconoscere per merito e talento, è ancora colpa dei padri se la situazione delle donne artiste sembra così complessa purtroppo per molte? La società intesa come comunità e famiglia è ancora così fondamentale nella carriera professionale di una donna dove tutte si possono improvvisare di fatto scalatrici e sfruttare le masse coi social?
3) Nina è di Milano eppure si sposta dal proprio paese d’origine per vivere a Berlino. Sebbene risulti una anti-nostalgica sembra che la riflessione sui luoghi sia per lei un processo con una certa profondità. O per lo meno si accenna a una profondità. A Berlino si fa pagare per fare l’amore. Aveva scoperto un lavoro per cui la prostituzione poteva essere autogestita. Lasciare le radici, cercare di affermarsi attraverso il corpo, è un ideale non molto familiare rispetto alla nostra cultura. Le amiche di Nina sono prese “in estenuanti battaglie per pagarsi l’affitto”, lei non incarna questi desideri. Il pubblico dovrebbe per questo precipitare in commenti di estenuante ripugnanza o viene sollecitato a interpretare una scelta di vita (per la nostra cultura ancora fuori corrente) con dei tratti infelici che per Nina viene ad essere l’unica alternativa possibile? La scelta della prostituzione che per la giovane donna sembra irrinunciabile è per il lettore il tentativo garbato per informarlo di assumersi una responsabilità verso le giovani artiste? Documentando a cosa devono spingersi per sopravvivere?
4) Il romanzo parte come una decostruzione dei ruoli sessuali, la denuncia di una società sessista e classista per una liberazione dai condizionamenti razziali e culturali, permette di fare luce su dei meccanismi sociali e sul fallimento di tali meccanismi. L’intero capitolo “Scopiamo, dunque siamo” offre la visione di quanto il sesso venga a diventare una soluzione per donne che come Nina vogliono usarlo liberamente, senza contromisure fin dalla prima adolescenza. Fino a considerare la violenza come sviluppo della crudeltà collettiva, lo stupro. Questo romanzo fa anche luce su come una donna possa in un modo o nell’altro sopravvivere al dolore della violenza sessuale?
5) Con Danova le cose sembrano mettersi meglio per Nina. Per la prima volta pare sperimentare un rapporto con un uomo nutritivo e dialogo. Ma Danova è il suo gallerista e il dovere di un gallerista pare essere quello di far fruttare tutto fino in fondo. Non riesce ad innamorarsi di nessuno, è turista a New York come a Berlino e nella sua stessa Milano. Non mostra mai di avere i mezzi né psicologici, né emotivi per intraprendere un rapporto sentimentale responsabile. Le ragioni dei suoi rapporti con gli uomini sono esclusivamente di natura sessuale. Non voleva diventare madre, non riesce a provare dolore per il suo stupro. Nemmeno l’incontro con Tommaso sembra cambiarla. Possiamo dire che Nina è un’antieroina, perché non si risolve mai in una responsabilità, in un desiderio. Ma viene ad essere anche l’icona di una identità prigioniera di un’ombra del meccanismo dell’arte?
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